KNIGHT OF CUPS di Terrence Malick

knighofcups
****
Per molti, il cinema recente di Malick è un tradimento: un percorso autoriale differente da ciò che avevano immaginato, una delusione da rifiutare. Eppure amare il cinema significa anche essere in grado di accogliere l’immagine, lasciarla respirare nel nostro sguardo; soprattutto un’immagine qual è quella malickiana, di infinita bellezza e capace di scardinare i limiti della nostra percezione. Un’immagine protesa alla ricerca ed alla meraviglia, incapace di trovare riposo: tutto è movimento, tutto è in continua trasformazione. Si può guardare il mare ed essere improvvisamente distratti da un volo di gabbiano, o si può seguire un protagonista e poi lasciare che il nostro occhio cada su un animale ferito che attraversa la strada. Il cinema di Malick imita l’umano pensiero ondivago che, irrequieto, cerca di cogliere il senso delle cose; un pensiero che vorrebbe volare per afferrare lo spirito divino immanente alla natura.

Malick da tempo segue un istinto poetico (che lo accomuna all’Herzog de L’Ignoto Spazio Profondo) tradotto in un cinema personale, religioso e audace nell’abolire il peso della storia. Il suo cinema è avulso dal Tempo ed ogni scena diventa storia a sé, in grado di riscriversi in innumerevoli modi differenti nel ricordo del personaggio che la vive o nella mente dello spettatore che se ne appropria. In Knight of Cups non sappiamo mai cosa succede davvero, o chi sono gli enigmatici personaggi che lo abitano; eppure Malick ce li fa amare, ce li presenta intimamente, nudi e lacerati, rivelati in una bellezza di cui nemmeno sono consapevoli. In questo senso il cinema di Malick è davvero vicino all’amore, con il quale crediamo di conoscere l’“altro” in realtà inconoscibile e mutevole, eppure così apparentemente vicino a noi, parte di noi. Tutto il cinema di Malick è una forma di amore per le cose, per lo spazio che abitiamo, la natura, le strade: elementi tanto familiari quanto inconoscibili. Una vita che sfugge tra le dita, ma in grado di aprire squarci di infinita, fuggevole bellezza.

Knight of Cups è cinema girovago, è il cinema del viandante che si interroga sotto una luna fredda e distante, cristallina quanto le luci di un club in cui corpi nudi di ragazze brillano sotto il neon. Il protagonista Rick (Christian Bale) consuma rapporti con una fede improvvisa, ogni volta un luccichio di breve durata: le donne diventano “la donna”, la musa desiderata attraverso la quale decifrare la foresta dei simboli del mondo. La donna dai molti volti, una chiave momentanea per aprire lo scrigno di un “senso” che immediatamente svanisce, seppur lasciando la scia di un ricordo enigmatico e colmo di mistero.

La macchina da presa di Malick è il suo occhio abbandonato ai moti dell’animo: scivola, insegue, si distrae, indugia. E’ uno sguardo che non distingue tra oggetto e soggetto: Rick guarda il mare “grande specchio della mia disperazione”, secondo la lirica di Baudelaire; Rick è nell’aria, nel cielo, nella sua donna. Si può anche non condividere la religiosità dello sguardo del regista, ma non si può non restare ammirati dal suo desiderio di trasformare la propria spiritualità in immagine: e Malick ricorre ad ogni mezzo – dalla ripresa digitale più raffinata, alla videocamera di un cellulare, alla soggettiva della GoPro. E ciò fa di lui un regista più giovane di chiunque, che non tralascia nessuna delle nuove possibilità offerte dal cinema per infrangere le barriere dello sguardo e del pensiero. Perchè scrivere una storia quando il suo cinema ne può contenere mille?

6 thoughts on “KNIGHT OF CUPS di Terrence Malick

  1. Anch’io avevo notato dal trailer il continuo scivolare della macchina da presa, creando delle riprese da angolature sbilenche che rendevano inutilmente fastidiosa la visione. Ma il trailer sarebbe stato deludente anche con delle riprese normali, perché lascia intravedere un’accozzaglia di situazioni ammucchiate l’una accanto all’altra senza capo né coda. Questo è quello che nel tuo post chiami “abolire il peso della storia”, e che io, con molta meno grazia e magnanimità, chiamo pessimo cinema.
    Intendiamoci: non sono prevenuto contro il particolarissimo cinema di Malick. Al contrario, sono stato un suo grande ammiratore fino a The tree of life, che considero il suo ultimo grande film. Poi sono arrivati To the Wonder e Knight of Cups: per quanto riguarda il primo, mi sono bastati pochi minuti per capire che era meglio chiuderla là; per quanto riguarda il secondo, mi è bastato addirittura il trailer. E la tua recensione, per quanto positiva, mi fa capire che le mie intuizioni erano esatte.
    Rispetto i tuoi gusti, che ti portano ad apprezzare un film anche quando rifiuta volutamente il concetto di storia, ma io al contrario i film di questo tipo non li posso soffrire. Al contrario, io amo i film “abbondanti”, quelli con una storia ricca di trame e sottotrame, personaggi primari e secondari tutti ugualmente interessanti e ben definiti, trovate intelligenti eccetera. Un tempo, anzi in tempi neanche troppo lontani anche Malick faceva film così, poi evidentemente è successo qualcosa che ha mandato in cortocircuito le sue sinapsi. E’ successa la stessa cosa a Paul Thomas Anderson, che nei suoi ultimi film è sembrato incapace di partorire una sceneggiatura che avesse un filo logico. Ormai Anderson lo do per disperso; Malick invece potrebbe ancora riprendersi. Me lo auguro di cuore.

    • La vediamo decisamente in modo diverso; io adoro anche l’ultimo PTA, quello di The Master e Inherent Vice… Per quanto riguarda Malick, di cui ho visto tutto, non credo che i suoi ultimi film siano in contraddizione con quello che ha fatto in precedenza; anzi, intravedo profonda coerenza nel suo percorso stilistico, tematico e spirituale

      • Oh, la coerenza nel percorso stilistico c’è senza dubbio. Il problema è che prima lo stile eccelso era abbinato ad una trama quantomeno decente; adesso invece è rimasto solo lo stile, che da solo non basta per fare un buon film. Almeno per me.
        Riguardo a Paul Thomas Anderson, credo che tu sia ancora nella fase dell’innamoramento per i suoi film precedenti (Boogie Nights, Magnolia, Il petroliere eccetera). E sei in buona compagna, visto che sia The Master che Vizio di forma hanno ottenuto 3 nomination all’Oscar ciascuno. Presto o tardi tuttavia sono convinto che tutti si accorgeranno dell’enorme peggioramento di Anderson, e lui smetterà finalmente di vivere di rendita, cullandosi sugli allori di quando era un buon regista. Io comunque, dopo due mega flop come The Master e Vizio di forma, ho deciso di non guardare mai più un suo film.
        Ti ringrazio per aver confermato che con te è sempre un piacere parlare di cinema, anche quando i nostri pareri sono diametralmente opposti. A presto! 🙂

  2. Pingback: SULLY di Clint Eastwood | Frammenti di cinema - di Marcella Leonardi

  3. Pingback: SONG TO SONG di Terrence Malick | Frammenti di cinema - di Marcella Leonardi

  4. Pingback: SULLY di Clint Eastwood | Frammenti di cinema - di Marcella Leonardi

Lascia un commento